Nota di accompagnamento alla serie di slide del Seminario LAPEF del 6 marzo 2021
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Ricoeur e il problema dell’identità narrativa: perché Hume?
Ricœur mette a fuoco per la prima volta la questione dell’«identità narrativa» nelle faticose conclusioni generali della trilogia Temps et récit (1983-1985). È, così, aperta la strada ad un nuovo percorso che sposta l’asse della ricerca e della riflessione dalla problematica della narrazione alla problematica dell’identità personale. Luogo di sintesi sarà, come è noto, Soi-même comme un autre (1990), considerato dallo stesso Ricœur come una ricapitolazione di tutto il suo lavoro.
Ritornando alle conclusioni di Temps et récit, è più precisamente nell’ambito della discussione della prima aporia della temporalità che trova formulazione il concetto di identità narrativa; concetto che rappresenta «l’assegnazione ad un individuo o ad una comunità di una identità specifica»[1] (laddove, «”identità” è (…) preso nel senso di una categoria della pratica»[2]). «Senza il soccorso della narrazione, il problema dell’identità personale è (…) votato ad una antinomia senza soluzione: o si pone un soggetto identico a se stesso nella diversità dei suoi stati, oppure si ritiene, seguendo Hume e Nietzsche, che questo soggetto identico non è altro che una illusione sostanzialista, la cui eliminazione lascia apparire solo un puro diverso di cognizioni, di emozioni, di volizioni. Il dilemma scompare se, all’identità compresa nel senso di un medesimo (idem) si sostituisce l’identità compresa nel senso di un se stesso (ipse); la differenza tra idem e ipse non è altro che la differenza tra una identità sostanziale o formale e l’identità narrativa»[3].
Questa articolazione dell’identità in identità-medesima e identità-stessa sarà ripresa successivamente in Soi-même comme un autre nell’ambito della questione dell’ipseità e, più tardi, nel volume Parcours de la reconnaissance (2004).
Scrive, ancora, Ricœur nelle conclusioni generali a Temps et récit: «Questa connessione tra ipseità e identità narrativa conferma una delle mie più antiche convinzioni, e cioè che il sé della conoscenza di sé non è l’io egoistico e narcisista di cui le ermeneutiche del sospetto hanno denunciato l’ipocrisia e insieme l’ingenuità, il carattere di sovrastruttura ideologica e l’arcaismo infantile e nevrotico. Il sé della conoscenza di sé è il frutto di una vita sottoposta ad esame, secondo l’espressione di Socrate nell’Apologia. Ora una vita sottoposta ad esame è, in larga parte una vita depurata, chiarificata grazie agli effetti catartici dei racconti sia storici che di finzione portati dalla nostra cultura. L’ipseità è così quella di un sé istruito dalle opere della cultura che si è applicato a se stesso»[4].
Nel seminario del Laboratorio di Psicoanalisi, Ermeneutica, Fenomenologia del 6 marzo 2021 abbiamo voluto approcciare la questione dell’identità narrativa a partire dall’approfondimento delle criticità insite nella filosofia dell’identità personale di David Hume. Per quanto non esaustive, le slide possono offrire una traccia per comprendere perché Ricœur abbia inteso la prospettiva humeana (accanto a quella nietzscheana) come un attacco antisostanzialista talmente profondo da richiedere un ripensamento dell’idea di identità personale.
[1] P. Ricœur, Tempo e racconto III, trad. it. di G. Grampa, Jaca Book, Milano 1988, p. 442.
[2] Ib.
[3] Ivi, p. 443.
[4] Ivi, pp. 443-444.









