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Introduzione — Don Casmurro: la modernità psicoanalitica di un classico letterario

            Machado de Assis, figura imprescindibile della letteratura brasiliana, è autore di opere che trascendono il proprio tempo esplorando, con sofisticata ironia e profondità psicologica, le complessità dell’anima umana. Influenzato dal Realismo, Don Casmurro (1899), uno dei suoi romanzi più emblematici, riflette un momento di trasformazione estetica e ideologica nella letteratura del XIX secolo. In questo periodo, i valori idealizzati dal Romanticismo danno luogo a una visione più critica, razionale e introspettiva della realtà. In questo nuovo paradigma, l’uomo non è più una figura idealizzata, ma un soggetto immerso in conflitti storici, sociali e psichici. È in questo scenario che emerge la scrittura machadiana, che, pur essendo rivestita di sobrietà formale ed eleganza, rivela un’analisi penetrante delle contraddizioni umane, in particolare attraverso il linguaggio introspettivo e l’ambiguità.

            Al lettore che si avventura tra le dense pagine di Don Casmurro, si impone un’avvertenza simile a quella di Virgilio a Dante alle porte dell’Inferno: “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”. (Alighieri, 1989, Canto III, v. 9). Da quel momento in poi non si incontrano più che anime tormentate. Come nel caso del poeta italiano che si addentra in un cammino oscuro e labirintico, il lettore del romanzo machadiano è invitato ad addentrarsi in un territorio di conflitti emozionali, dove la verità oggettiva su un possibile tradimento non è più messa in gioco, ma si disvela piuttosto il tortuoso percorso mentale di un soggetto frammentato.

            È in questo universo di ambiguità che emerge la figura di Capitu, uno dei personaggi femminili più enigmatici della letteratura brasiliana, la cui caratterizzazione trascende i limiti della descrizione fisica. La celebre frase “occhi da zingara, obliqua e dissimulatrice”[1] è diventata uno dei più grandi enigmi del canone letterario brasiliano. Più che suggerire seduzione o tradimento, questa immagine rivela la soggettività distorta del narratore – Bento Santiago, o semplicemente Bentinho – un uomo tormentato dalla gelosia, dal dubbio, dal senso di colpa e dalle emozioni represse.

            Capitu è rappresentata, da un lato, come una donna che, invece di essere passiva, è perspicace, intelligente e possiede un’autonomia che sfida l’ideale femminile borghese del XIX secolo[2]; dall’altro, appare come una minaccia alla stabilità dello sguardo maschile che la scruta. È lo stesso Bentinho a manifestare questa inquietudine, rivelando quanto si sente minacciato dall’autonomia del femminile, affermando: “Capitu era Capitu, cioè una creatura singolare, più donna di quanto io fossi uomo” (Assis, 2014: 49).

            In questa frase si condensano le forze del desiderio e della colpa che permeano l’opera, trasformando la relazione tra Bentinho e Capitu in un campo di proiezioni psichiche: Bentinho desidera Capitu, ma la incolpa per ciò che in lui rimane inconfessabile. Questa colpa viene proiettata su Capitu, trasformandosi in una denuncia di adulterio e diventando così meno una questione fattuale e più una costruzione psichica.

            Da un punto di vista psicologico, la traiettoria di Bentinho si avvicina a quella delle figure tragiche della letteratura classica che hanno affrontato simili abissi emozionali. Bentinho, come Hamlet, si muove nell’ombra del dubbio, incapace di distinguere tra la realtà e la fantasia. Come Otello, è consumato dalla gelosia – un sentimento che nasce dalle sue profonde insicurezze. La sua crisi interiore richiama quella di Raskolnikov, in Delitto e Castigo, dove la colpa precede il crimine e il tormento psicologico sovrasta i fatti. Nella sua ossessione silenziosa, c’è qualcosa di Emma Bovary, che vive prigioniera delle sue stesse proiezioni emozionali, nonostante Bentinho, a differenza di lei, tema il disordine del desiderio che non riesce a nominare. Come i grandi eroi tragici della letteratura, non vive soltanto una storia, ma incarna il dramma della propria condizione esistenziale.

            Questa densa rete di rimandi letterari non è casuale, ma riflette la raffinata strategia narrativa di Machado de Assis e la sua profonda erudizione riguardo al canone letterario europeo. In Don Casmurro, i parecchi risvolti della debolezza umana, già sofferti dai personaggi classici, guadagnano una profondità psicologica e convergono verso la comprensione di Bentinho come una figura travagliata della modernità psichica, l’incarnazione di un’anima moderna divisa tra la ragione e la pulsione, tra il desiderio di controllare il discorso e la memoria, in una costante tensione tra razionalizzazione e ritorno del rimosso. È l’incarnazione di quello che, in noi, resta occulto: le fantasie, le ambivalenze, le rimozioni e le contraddizioni che compongono il vasto abisso dell’inconscio umano. Capitu, in questa prospettiva, smette di essere un personaggio oggettivo per diventare una proiezione ambivalente di queste angosce e fantasie del narratore. Il romanzo, quindi, si configura come una confessione velata: non più il racconto fedele di una storia d’amore e di un possibile tradimento, ma la testimonianza di un soggetto in profondo conflitto interno.

            Di fronte a questo scenario conflittuale, si propone qui una lettura psicoanalitica di Don Casmurro, in particolare alla luce della teoria freudiana. Per molto tempo il centro delle discussioni sul romanzo ha riguardato la fedeltà o l’infedeltà di Capitu – una questione centrale che dovrà ancora oggi restare irresolubile. Tuttavia, più che giudicare Capitu, il romanzo ci invita a volgere lo sguardo verso il vero enigma della narrazione: lo stato psichico di Bentinho. Diversamente da Dante, non ci troviamo dinanzi a un giudizio divino e trascendente, ma al cospetto di una sorta di giudizio interiore – quello del narratore – in cui la colpa, il desiderio, la rimozione e l’insicurezza modellano la sua visione del mondo e della donna con cui si è sposato. Dati questi presupposti, la questione, d’ora in poi, non sarà più “Capitu l’ha tradito?”, ma “perché Bentinho aveva bisogno di credere di essere stato tradito?”.

            Questo cambiamento di prospettiva permette di leggere Don Casmurro come un’opera estremamente moderna, che anticipa i dibattiti del XX secolo sull’inconscio, i limiti del linguaggio e la frammentazione della verità soggettiva. Immergendosi nella psiche del narratore, Machado de Assis si rivela non solo un cronista della società del suo tempo, ma un precursore intuitivo della psicoanalisi letteraria. Don Casmurro, rivelando i labirinti del desiderio e della colpa, rimane una delle più sofisticate indagini letterarie dell’anima umana – e un’opera la cui attualità resiste al lungo e continuo respiro della storia.

            Consapevoli della ricchezza interpretativa dell’opera, non intendiamo offrire conclusioni definitive su Capitu o sui significati ultimi del testo. Al contrario, per fedeltà allo spirito ambiguo della narrativa machadiana, manterremo i significati aperti, valorizzando la complessità di Don Casmurro e la pluralità di letture che esso suscita. L’obiettivo è proporre un’approssimazione critica che illumini la ricchezza simbolica del romanzo e stimoli nuove riflessioni.

1 Machado de Assis: una sorta di Freud tropicale?

            È curioso notare che Don Casmurro era stato scritto da Machado de Assis nello stesso momento in cui Freud cominciava a sviluppare i fondamenti della psicoanalisi in Europa. Sebbene distanti geograficamente, socialmente e metodologicamente, entrambi condividevano un’inquietudine comune: smascherare le illusioni della razionalità illuminista e mettere in luce i territori oscuri dell’anima umana. Quello che Freud avrebbe rivelato nei suoi studi clinici e nei suoi scritti teorici, Machado de Assis lo lasciava scivolare tra le righe, attraverso ironia e finzione.

            Questo avvicinamento non si svolge tramite la via diretta della teoria, ma piuttosto attraverso una profonda affinità di temi e visioni sul soggetto moderno. Entrambi hanno compreso che l’individuo è attraversato da forze che sfuggono dal suo controllo: i desideri taciuti, le memorie reinventate, le contraddizioni interiori e le narrazioni frammentarie, costruite per fare fronte all’instabilità dell’ego. Per loro, la verità non è un dato esterno da scoprire, ma una costruzione soggettiva – e, spesso, illusoria.

            Machado de Assis e Freud hanno scritto in un’epoca segnata da grandi cambiamenti ideologici, in cui i modelli morali del passato cominciavano a crollare davanti alle nuove prospettive sulla sessualità che emergevano dal volgere del secolo. Mentre Freud si addentrava nell’inconscio come struttura esplicativa dei comportamenti e dei sintomi, Machado de Assis preferiva esplorare l’ambiguità narrativa e il dubbio che incombe sul non detto. In Don Casmurro, questa visione si manifesta nei labirinti psichici della mente di un narratore tormentato, mosso da desideri contraddittori, sentimenti rimossi e da un rapporto ambiguo con la verità – elementi che Freud avrebbe appena sistematizzato come centrali nel funzionamento psichico.

            Con uno sguardo letterario perspicace, Machado de Assis aveva anticipato nel piano della finzione concetti che la psicoanalisi ha formulato teoricamente: la proiezione degli affetti rimossi, il conflitto tra il conscio e le pulsioni inconsce, gli effetti duraturi delle esperienze passate nella costituzione dell’ego e, soprattutto, il narratore come figura difensiva – qualcuno che parla per proteggersi da quello che lo minaccia internamente. Più che un personaggio, Bentinho si rivela quasi come lo studio di un caso clinico e crea una narrazione non per chiarire i fatti, ma per contenere l’angoscia del dubbio – una difesa psichica da cui risuonano con notevole precisione i meccanismi psichici descritti da Freud.

            Quello che più avvicina Freud e Machado de Assis, tuttavia, non è il contenuto, ma l’atteggiamento nei confronti della condizione umana. Entrambi hanno rifiutato verità assolute e hanno visto il soggetto come un essere diviso, capace di costruire realtà simboliche per affrontare quello che non può – o non vuole – riconoscere.

            Tuttavia, è proprio in questo scenario che si evidenzia una differenza fondamentale – non solo di stile, ma soprattutto di orientamento culturale ed epistemologico. Freud, radicato nella tradizione scientifica tedesca del XIX secolo, cercava di sistematizzare il sapere sull’inconscio attraverso un metodo rigoroso, capace di offrire strumenti concettuali per interpretarlo e, idealmente, trattarlo. L’inconscio freudiano è strutturato da regole, pulsioni e meccanismi; può essere analizzato, decifrato e tradotto all’interno di un impianto teorico ben definito.

            Machado de Assis, invece, immerso in una cultura caratterizzata dall’ambiguità, dall’artificio e dal costante gioco tra apparenza ed essenza, ricorre all’ironia non come semplice espediente stilistico, ma come strumento critico. Nella società brasiliana della sua epoca, profondamente segnata da contraddizioni storiche e disuguaglianze sociali, predominava una logica dell’implicito, in cui la comunicazione si articolava per vie indirette e quello che esplicitamente si affermava quasi mai coincideva pienamente con il contenuto implicito del messaggio. Il linguaggio, così, assumeva una funzione dissimulatoria, operando come forma di sopravvivenza simbolica. Inserita in questo universo, l’ironia machadiana sorge come una strategia per svelare il non detto, mettendo in tensione i silenzi che sostengono le convenzioni e i valori sociali. Se Freud teorizza l’inconscio, Machado de Assis lo drammatizza. E, drammatizzandolo, espone con precisione come il soggetto cada nell’intreccio delle proprie finzioni, rimozioni, gesti banali e parole accuratamente scelte – come bene emerge dalla durante la narrazione di Bentinho.

            Mentre Freud cercava di comprendere l’inconscio attraverso un metodo, Machado de Assis ci invitava a percepirlo, rappresentandolo nella quotidianità – nel travestimento, nella suggestione, in quello che si dice per vie oblique. La tecnica freudiana cerca di spiegare; l’ironia machadiana, di provocare.

            È in tal senso che si può proporre la metafora di un “Freud tropicale”, cioè non per analogia teorica diretta, ma per uno sforzo consapevole di Machado de Assis a rappresentare letterariamente la complessità dei soggetti e della società a lui contemporanei. E così, l’autore, senza bisogno del divano, comprendeva e rifletteva sull’anima umana, capendo che le sue strutture sono segnate da ombre e contraddizioni – e che, a volte, è nella finzione, più che nella teoria, che essa esprime le sue intime complessità. Mentre Freud scavava nei sogni, nei sintomi e nei lapsus, Machado de Assis esponeva attraverso i suoi personaggi e l’architettura dei suoi romanzi le maschere dell’ego, le illusioni della memoria e i giochi pulsionali. Se il primo ci ha offerto l’ascolto analitico, il secondo ci ha consegnato l’ascolto narrativo – e entrambi, a modo loro, hanno dato voce a quello che in noi rimane latente.

2 Bento S. sul divano: una breve lettura ermeneutica delle sue confessioni

            Se Bento Santiago potesse sdraiarsi su un divano, come uno dei primi pazienti freudiani, non gli mancherebbero sintomi, lapsus e fantasie da interpretare. La sua narrativa, che scaturisce dalle proprie memorie, si sviluppa come un’autobiografia psicologica e razionale, presentandosi così quasi come una lunga sessione di analisi involontaria, in cui il narratore si svela nelle sue contraddizioni, silenzi e ripetizioni. Durante questo processo, Bentinho si avvicina alla figura del soggetto ricœuriano: un ego frammentato, situato nella tensione tra forze razionali e irrazionali, tra la storia vissuta e il simbolico che la media, tra il tentativo di dare senso a sé stesso e la consapevolezza della propria fallibilità. La sua scrittura rivela non tanto la capacità di dominare la conoscenza del passato, quanto piuttosto è espressione di uno sforzo di elaborazione, in cui l’identità si costruisce proprio dal presunto conflitto tra le sue ferite psichiche e il tentativo di sublimarle.

            Questo tentativo di elaborazione soggettiva diventa ancora più evidente quando Bentinho ci presenta la storia della sua giovinezza, dell’amore per Capitu e del sospetto del presunto tradimento, come uno sforzo deliberato di ricostruzione del passato – un movimento che lui stesso descrive come il tentativo di “annodare le due estremità della vita, e recuperare nella vecchiaia l’adolescenza” (Assis, 2014: 6). Questo sforzo non consiste più nel rimuovere l’oggetto perduto, come probabilmente accadeva durante il periodo tra l’adolescenza e la maturità, ma piuttosto nel superare un trauma che comincia ad essere elaborato attraverso la parola. Nel suo racconto, Bentinho manifesta la consapevolezza della perdita dell’oggetto amato, vivendo il lutto in modo doloroso, sebbene fosse incapace – o presumibilmente non disposto – a riconciliarsi consapevolmente col passato.  

            Tuttavia, questa riconciliazione restauratrice non avviene senza crepe, cioè senza i nitidi lividi del trauma. La sua voce narrativa pur essendo davvero coesa, a volte si dimostra insicura e incoerente, caratteristiche che lo fanno diventare un narratore profondamente inaffidabile.Come si vede, tutta la narrativa è mediata dalle sue memorie,che, secondo la teoria freudiana, tendono ad essere riorganizzate in modo da proteggere l’ego dalla sofferenza psichica. Essendo così, né i ricordi né il racconto di Bentinho sono esenti da fraintendimenti ed inganni. Come confessa il narratore:“(…) no, la mia memoria non è buona, anzi è paragonabile a un tale che abbia vissuto per alberghi, senza né volti né nomi, soltanto rare circostanze.” (Assis, 2014: 91). 

             Alla luce della teoria di Paul Ricoeur, questa dinamica può essere interpretata come espressione del processo ermeneutico dell’autocoscienza, che si realizza attraverso l’interpretazione simbolica e narrativa. Secondo Ricoeur, l’essere umano è un “essere narrativo” la cui identità si costituisce nella continua ricostruzione della propria storia, integrando dimensioni inconsce (pulsionali), culturali (simboliche) e temporali (storiche). Così, l’instabilità narrativa di Bentinho non solo rivela la fragilità dei suoi ricordi, ma manifesta i conflitti strutturanti del soggetto interprete, la cui memoria è sempre una costruzione, una contesa e una mediazione tra il vissuto e il narrato.

            In La mémoire, l’histoire, l’oubli (2000), Ricoeur segnala che la memoria non è una semplice ripetizione del passato, ma una ricostruzione interpretativa, mediata dal tempo e dal linguaggio. Questa concezione si allinea direttamente con il modo in cui Bentinho narra la sua storia: la sua memoria è selettiva, segnata da affetti, traumi, dimenticanze strategiche, simbolizzazioni e manipolata per giustificare le sue azioni o proteggere la sua immagine.

            Questa dimensione interpretativa della memoria, come delineata da Ricoeur, dialoga con la concezione psicoanalitica freudiana. Nella prospettiva della psicoanalisi, la memoria non funziona come un registro fedele degli eventi passati, ma come un processo attivo e dinamico di ricostruzione, permeato da desideri inconsci, meccanismi di rimozione e strategie di difesa dell’ego. Per Freud, quello che il soggetto ricorda non corrisponde necessariamente a quello che è effettivamente accaduto, ma a quello che è in grado di sopportare, rielaborare, simbolizzare e, in una certa misura, di rappresentare. In questo contesto, i simboli diventano mezzi fondamentali attraverso i quali le pulsioni inconsce trovano espressione nel campo culturale e linguistico.

            Ricoeur approfondisce questa nozione affermando che i simboli permettono la mediazione tra il soggetto e le dimensioni più profonde della sua psiche, consentendo all’inconscio di essere interpretato e integrato nella narrazione di sé stesso. Perció Don Casmurro può essere considerato non come un resoconto di memoria oggettiva, ma come un romanzo della memoria soggettiva – una memoria che si costruisce e ricostruisce segnata dalla colpa, dal desiderio e dalla negazione. Questi elementi modellano la narrazione di Bentinho in base a quello che è in grado di dire, nascondere o esprimere attraverso il linguaggio. Il fallimento della narrazione nel raggiungere una verità definitiva su Capitu o su sé stesso rivela i limiti del linguaggio e della rimemorazione. Anche Ricoeur riconosce che questa è una caratteristica fondamentale della narrazione: essa non è uno specchio della realtà, ma una costruzione interpretativa che nasconde sempre tanto quanto rivela.

            In Don Casmurro, la scrittura non si propone di chiarire il passato, ma di raccontarlo in modo difensivo. Il dubbio che pervade la narrazione si trasforma in convinzione, e il disagio, in giustificazione. Quella che dovrebbe essere un’indagine critica si converte in una narrazione accusatoria – non perché ci siano prove concrete, ma perché il narratore ha bisogno di attribuire un significato al suo dolore. In questo contesto, il tradimento di Capitu lascia di essere un fatto verificabile e diventa il sintomo di un conflitto interno più profondo: l’incapacità di Bentinho di integrare il desiderio e la colpa nel proprio psichismo. Perciò l’opera si rivela come una sorta di mise en scène del funzionamento della memoria inconscia – instabile e contraddittoria.

            In Della interpretazione. Saggio su Freud (1965), Ricoeur propone un’ermeneutica dell’inconscio, in cui i simboli sono concepiti come ponti tra il livello pulsionale e il livello culturale/linguistico. Questa prospettiva si applica direttamente al linguaggio ambiguo di Bentinho, dove gli eufemismi e le metafore, come l’immagine degli “occhi da zingara, obliqua e dissimulatrice” riferita a Capitu, denunciano un tentativo di simboleggiare quello che non riesce ad elaborare razionalmente. Queste costruzioni simboliche, che permeano la narrazione, sono emblemi di una visione dell’inconscio che forse supererebbero la rivelazione di contenuti nascosti, richiedendo una costante interpretazione, poiché l’inconscio si presenta sempre mediato dal linguaggio, dalle strutture culturali e dai simboli.

            A questo proposito, possiamo anche stabilire un legame tra la struttura narrativa di Don Casmurro e la concezione habermasiana del linguaggio dell’analizzando, formulata nell’operaConoscenza e Interesse(1968). Nel contesto della clinica psicoanalitica, la parola del paziente non si limita alla comunicazione consapevole, ma si presenta come una rete simbolica complessa, composta da elementi linguistici (come espressioni ossessive), azioni ripetitive (compulsione alla ripetizione) e manifestazioni corporee varie. Questi sintominon devono essere intesi come semplici rumori nella trasmissione della memoria, ma come tracce sintomatiche di contenuti inconsci, che a volte esprimono intenzioni, a volte trascendono necessariamente il dominio di quello che è soggettivamente supposto. Dunque, in Don Casmurro è possibile osservare come tali elementi non indichino soltanto lacune nel racconto del soggetto, ma rivelano anche i conflitti psichici che esulano dalla sua consapevolezza.

            Un esempio emblematico di quello che Freud definisce come “compulsione alla ripetizione” si manifesta nella narrazione di Bentinho. Questa nozione descrive il bisogno inconscio di rivivere situazioni traumatiche non elaborate. Nel romanzo, questo si traduce nell’insistenza ossessiva del narratore nel rievocare la presunta infedeltà di Capitu, anche in assenza di prove concrete. Questa ripetizione non è episodica: costituisce una struttura ricorrente del suo discorso, come se fosse spinto da una forza psichica che lo costringe a rivivere l’esperienza traumatica, nel tentativo fallito di risolverla.

            Parallelamente, possiamo individuare “le espressioni ossessive” nella reiterata descrizione degli occhi di Capitu come “occhi da zingara dissimulatrice” – una formula che ritorna come un refrain narrativo. Più che delineare l’altro, essa disvela l’ossessione del narratore e la sua difficoltà nel distinguere tra la realtà e la fantasia. Questo elemento rafforza l’ipotesi di una narrazione sintomatica, in cui il linguaggio tradisce quello che il soggetto non riesce ad ammettere consapevolmente.

            Questa chiave interpretativa permette, inoltre, di rileggere la struttura narrativa di Don Casmurro come un’analogia con il setting analitico. Come l’analizzando cerca di organizzare l’indicibile attraverso il linguaggio, Bentinho racconta la sua storia per riorganizzare simbolicamente il suo dolore, come in un tentativo di (ri)costruzione di sé stesso. Nelle sue parole:“ebbene, vi è un solo modo di scrivere la propria essenza: quello di raccontar tutto (…). Così faccio io, a mano a mano che me ne rammento e che è utile alla costruzione o alla ricostruzione di me stesso” (Assis, 2014: 106). Alla luce di ciò, la narrativa di Bentinho si presenta come uno spazio di espressione dei suoi conflitti psichici, allo stesso modo in cui la parola del paziente cerca di dare forma all’inconscio.

            Vediamo, così, come Don Casmurro emerge come un atto difensivo, che rivela più di quanto cerchi di nascondere. La narrativa di Bentinho si presenta come un divano travestito, dove quello che è detto è attraversato da quello che non può essere detto direttamente. Pur credendo di raccontare la verità, la posizione di Bentinho come narratore è segnata dal tentativo di costruire una versione dei fatti che lo protegga dalla sofferenza psichica. In questo contesto, la narrazione diventa una strategia di controllo simbolico del suo dolore interiore. Ogni argomentazione e ogni giustificazione rappresentano uno sforzo per stabilizzare un ego disorganizzato dal dubbio. Perciò la presunta oggettività della narrativa cede il posto a un racconto sintomatico, in cui il conflitto non si risolve, ma si rappresenta.

            La colpa è un esempio di traccia sintomatica che si manifesta come una delle forze psichiche centrali che strutturano la narrativa di Bentinho. Questo senso di colpa che lo attraversain modo sotterraneo ma costante, affonda le radicinella sua formazione morale e affettiva. Cresciuto in un ambiente rigidamente religioso, ha interiorizzato un ideale di dovere e virtù che entra in conflitto con emozioni contraddittorie come desiderio, gelosia e insicurezza. Questo scontro tra pulsione e morale crea uno stato di tensione psichica che non riesce ad elaborare. Capitu, con la sua autonomia, saggezza e sensualità discreta, rappresenta proprio quello che lui non potrebbe controllare né comprendere pienamente. Mentre la desidera, Bentinho teme il potere che lei esercita su di lui, comunque non smette di proiettare su di lei le proprie contraddizioni.

            La colpa, in questo contesto, non nasce da un atto concreto che lui abbia commesso né da una trasgressione oggettivamente identificabile da parte di Capitu, ma dalla sua stessa incapacità di affrontare la complessità del proprio desiderio e la costruzione morale che ha elaborato di fronte all’ambiguità delle relazioni umane. Spostando questa colpa al di fuori di sé, Bentinho non solo scarica su Capitu il peso delle sue contraddizioni interiori, ma la trasforma in una minaccia – una presenza che turba la fragile stabilità della sua identità morale.

            Questo movimento, dunque, rappresenta un meccanismo di difesa. Invece di affrontare i suoi conflitti interiori – come la paura di essere tradito, la gelosia o la sua fragilità emozionale – Bentinho li trasferisce su Capitu, incolpandola per la sofferenza che, in gran parte, è fabbricata da lui stesso. Questo spostamento gli impedisce di affrontare il suo dolore in modo autentico, generando una narrazione segnata dalla negazione, dall’autoinganno e dal costante tentativo di giustificarsi. La colpa di Bentinho – consapevole o no – che si riflette sui suoi dubbi su Capitu e sulla sua responsabilità nella separazione e sofferenza della moglie e del figlio – sembra traboccare nella narrazione.Racconta la sua storia per giustificarsi, ma, paradossalmente, rivela l’instabilità della sua stessa difesa.

            In Ricoeur, la colpa può essere compresa come un affetto che richiede un’elaborazione simbolica.Questo movimento richiama quello che identifica nella narrazione di sé: nel tentativo di comprendere sé stesso, il soggetto inevitabilmente si confronta con la sua fallibilità. Il risultato è una soggettività divisa, che non trova risoluzione e rimane intrappolata in un passato in cui desiderio, morale e identità sono in conflitto permanente.

            La colpa, quindi, non è passeggera, ma attraversa tutta l’esistenza del personaggio, modellando il suo modo di vedere il mondo, sé stesso e gli altri. Il dubbio sulla fedeltà di Capitu non è, dunque, una questione esterna che il narratore cerca di chiarire razionalmente, ma una proiezione interna che deve affermare per dare un senso alla sua rovina affettiva. La gelosia, la colpa e la repressione emozionale convergono per creare una storia in cui la donna amata diventa la nemica simbolica.

            In questo intreccio psichico, alcuni elementi strutturali della vita di Bentinho aiutano a comprendere più profondamente il suo rapporto con gli affetti e le figure che lo circondano. Tra questi, assume particolare rilevanza il ruolo cruciale della figura paterna – o meglio, della sua assenza. In ambito psicoanalitico, la presenza del padre svolge una funzione simbolica determinante nella formazione del soggetto e nella strutturazione del suo apparato psichico. Questa riflessione ci conduce verso alcuni riferimenti fondamentali della teoria freudiana, che aiutano ad illuminare il modo in cui tale mancanza incide sulla costituzione dell’identità e sulla gestione del desiderio.

            La morte prematura del padre lascia Bentinho sotto le cure della madre, inserito in un universo femminile caratterizzato da un’intensa protezione e dai forti valori morali. Nella teoria psicoanalitica freudiana, la figura paterna non è solo un referente familiare, ma, come è possibile vedere nella opera Totem e Tabù (1913), una presenza simbolica essenziale per la costituzione del superego e per la mediazione simbolica tra il desiderio infantile e il divieto: rappresenta la Legge, il limite, la possibilità di separazione dal desiderio originario verso la madre. Senza questa figura di riferimento, Bentinho stabilisce con sua madre una relazione ambigua, segnata da obbedienza e dipendenza, che prolunga i legami edipici oltre il tempo desiderabile.

            All’interno di tale vuoto strutturante, Capitu, inizialmente compagna di infanzia, assume un posto ambiguo nello psichismo di Bentinho: diventa simultaneamente oggetto di affetto e figura rivale. La presenza di Capitu risveglia sia il desiderio che la colpa, intensificando tensioni interne che Bentinho non riesce ad elaborare in modo maturo. Invece di permettere lo sviluppo di un legame amoroso, quello che si sviluppa è un intrico di meccanismi di difesa e proiezioni, che non fanno altro che approfondire il suo conflitto emozionale.

            Il carattere ambiguo di questo legame si intensifica quando si osserva la distorsione della struttura edipica come uno degli aspetti centrali della traiettoria psichica di Bentinho. Non solo desidera Capitu, ma teme anche che questo desiderio lo allontani dall’ideale materno e moralista che ha introiettato fin dall’infanzia. Il conflitto tra pulsione e norma si intensifica, producendo un’oscillazione persistente tra l’idealizzazione e il rifiuto, la tenerezza e l’accusa, il desiderio e la punizione. Incapace di integrare queste forze contraddittorie in una narrativa coerente di sé, Bentinho risolve l’impasse attraverso la rottura del legame amoroso come modo per ripristinare un ordine interno. L’accusa di tradimento, in questo contesto, si rivela meno come un giudizio fondato su prove e più come una proiezione difensiva – una risorsa psichica necessaria per giustificare l’allontanamento di Capitu senza affrontare il dolore e la responsabilità emozionale per la sua scelta.

            La tensione tra il desiderio, la colpa e il rifiuto si intensifica ulteriormente quando si analizza il ruolo centrale della gelosia in questa rete psichica. Tra gli affetti che strutturano la narrativa di Bentinho, la gelosia si distingue come forza motrice della sua sfiducia e delle sue azioni. Il narratore rivela ripetutamente la sua gelosia verso qualcuno e tutti, descrivendola come un sentimento intenso, crudele e persino sconosciuto, capace di rivolgersi tanto verso i morti quanto verso la natura: “una sera (Capitu) si perse a contemplare il mare con tale intensità e concentrazione, che provai gelosia” (Assis, 2014: 151).

            Freud definisce la gelosia come un sentimento complesso, che può avere radici sia reali che immaginarie, spesso fungendo da maschera per altri affetti più profondi, come la paura della perdita o l’insicurezza narcisistica. Nel caso di Bentinho, la gelosia sembra non basarsi su fatti concreti, ma cresce fino a diventare onnipresente – dominando la sua vita, minando il suo legame con Capitu e conducendolo ad un isolamento emotivo che si estende fino alla sua età avanzata.

            Questa presenza ossessiva della gelosia nella vita di Bentinho può essere compresa da uno sguardo psicoanalitico, che considera questo affetto come un elemento più complesso di una semplice sfiducia. Nella teoria freudiana, la gelosia è intesa come un sentimento complesso, spesso legato a un desiderio inconscio di allontanare l’oggetto dell’amore. Rimuovendo quest’oggetto, il soggetto crede che potrebbe ristabilire una sensazione illusoria di completezza o di soddisfazione interiore, come se l’assenza dell’altro riempisse un vuoto interno, spesso originato dalla percezione di una falla costitutiva nella propria soggettività. In questo contesto, l’allontanamento di Capitu può essere compreso non come reazione ad un tradimento oggettivo, ma come un tentativo difensivo di Bentinho di affrontare un’angoscia più profonda, anteriore alla stessa relazione.

            Questa dinamica di allontanamento dell’oggetto desiderato evidenzia una delle caratteristiche strutturali della soggettività: la costituzione del soggetto come un essere mancante e, allo stesso tempo, desiderante. Secondo la teoria psicoanalitica, l’essere umano non è mai pienamente “soddisfatto” o “intero”, poiché il suo desiderio è, per definizione, insaziabile, ovvero l’oggetto del desiderio è sempre mancante. In tal modo, anziché raggiungere la pienezza desiderata, l’atto di rifiutare o allontanare l’altro non fa che esporre l’impossibilità strutturale di raggiungere qualsiasi totalità, alimentando un ciclo incessante di desiderio e frustrazione. La gelosia, in questo senso, trascende il mero timore della perdita: essa incarna una dinamica psichica complessa, in cui si intrecciano il desiderio di possedere l’altro, la paura di perderlo e, paradossalmente, l’impulso di respingerlo come tentativo disperato di riempire un vuoto esistenziale che, per sua natura, non potrà mai essere pienamente riempito.

            Questo movimento paradossale si sostiene nella logica dell’inconscio: il soggetto, allontanando l’oggetto del desiderio, crede di poter restaurare una sensazione illusoria di controllo oppure di sicurezza. Sebbene contraddittorio, questo allontanamento non si propone di sostituire il vuoto con un’altra presenza, ma di instaurare la fantasia che, rimuovendo l’altro, sarebbe possibile ricomporre una presunta integrità persa. Si tratta, dunque, di un meccanismo difensivo che nasconde la realtà insostenibile della mancanza strutturale, offrendo al soggetto un’apparenza di stabilità psichica – in realtà precaria e fugace. Il paradosso che sorge da questo processo è rivelatore: cercando di allontanare l’altro, il soggetto non raggiunge la stabilità desiderata, ma, al contrario, rafforza la propria struttura di mancanza e desiderio. Invece di pacificare il conflitto interno, il tentativo di controllo sull’oggetto intensifica solo l’insoddisfazione soggettiva.

            Questa logica psichica, in cui l’allontanamento dall’oggetto desiderato approfondisce il vuoto invece di risolverlo, ha ripercussioni dirette sulle relazioni interpersonali descritte da Bentinho. La tensione tra il suo desiderio insoddisfatto e il tentativo di mantenere un controllo illusorio sugli affetti struttura non solo la sua soggettività ma anche il modo in cui si relaziona con Capitu. Il dubbio persistente sulla fedeltà della moglie, anche senza prove concrete, rivela come la fantasia e l’insicurezza sovrastino la percezione oggettiva della realtà. Dominato dalla paura della perdita, Bentinho incarna un soggetto che, piuttosto che affrontare l’angoscia di convivere con l’incertezza, preferisce allontanare l’altro – e persino perderlo a favore di un rivale immaginario.

            Uno degli indizi letterari che Machado de Assis ci offre a questo proposito si trova nel capitolo intitolato La soluzione. Oltre al titolo suggestivo, emmerge dal testo un passaggio rivelatore in cui Bentinho ammette di aver compiuto due viaggi in Europa, dove vivevano Capitu e loro figlio, ma in entrambe le occasioni evitò di cercarli. Inoltre, afferma di aver risposto con freddezza alle lettere di Capitu, che, pur essendo dolci e nostalgiche, non suscitarono in lui alcun gesto di riconciliazione:“dopo alcuni mesi Capitu cominciò a scrivermi delle lettere alle quali risposi in tono conciso e secco. Le sue erano remissive, senza odio, talvolta affettuose e verso la fine nostalgiche: mi pregava di andarla a trovare. M’imbarcai un anno dopo, ma non la cercai, e rifeci il viaggio altre volte nello stesso modo. Al ritorno, quelli che si ricordavano di lei volevano avere sue notizie, e io le davo come se avessi trascorso il mio tempo con lei; naturalmente i miei viaggi erano fatti con lo scopo di fingere proprio questo e di ingannare gli altri” (Assis, 2014: 191).

            Se da un lato questo episodio evidenzia un comportamento freddo e calcolato, dall’altro apre la via a una comprensione più profonda della psicologia del narratore. In effetti, esso ci introduce a un altro aspetto centrale della sua interiorità: il ruolo dominante dell’immaginazione. Essa si costituisce come una compagna costante – viva, inquieta, modellabile – che gli permette di creare immagini e scenari capaci di distorcere la realtà, adattandola alle sue angosce e desideri, fino al punto di cominciare a convincersi di una realtà costruita, che poi lui stesso proietta all’esterno, come quando interpreta ogni gesto e sguardo di Capitu come prova del tradimento, senza mai considerare la possibilità della propria distorsione:“Capitu guardò per alcuni istanti il cadavere (di Escobar) con uno sguardo così fisso, così appassionatamente fisso, che non c’è da stupirsi se le sgorgarono dagli occhi alcune lacrime, poche e silenziose… Le mie cessarono subito. Rimasi a osservare le sue; Capitu se le asciugò in fretta, guardando furtivamente le persone che erano in salotto. Riempì di nuove tenerezze l’amica e volle portarla via, ma il cadavere sembrava trattenere anche lei. Vi fu un istante in cui gli occhi di Capitu fissarono il morto come quelli della vedova, senza le lacrime né le parole di questa, ma grandi e aperti come l’onda del mare laggiù, come se anche lei volesse inghiottire il nuotatore di quella mattina” (Assis, 2014: 173).

            L’immaginazione di Bentinho è capace di costruire scene intere, attribuire intenzioni e affetti dove ci sono solo gesti che, da un altro punto di vista, potrebbero essere considerati comuni. Questo si nota nel momento in cui osserva Capitu davanti al cadavere di Escobar. Bentinho descrive lo sguardo di Capitu come “così fisso, così appassionatamente fisso” – e subito proietta in quello sguardo un’emozione intensa, costruita da lui stesso. Il paragone finale – “gli occhi […] grandi e aperti come l’onda del mare laggiù, come se anche lei volesse inghiottire il nuotatore di quella mattina” – è completamente attraversato dalla sua soggettività. Non si tratta di una descrizione oggettiva, ma di una metafora simbolica che rivela il funzionamento della sua immaginazione: Escobar è associato al nuotatore, Capitu all’onda del mare che lo inghiotte. Questo brano mostra come Bentinho attribuisca significati tragici e oscuri al comportamento di Capitu, pur senza alcuna base concreta.L’immaginazione agisce così come un meccanismo di riempimento: dove c’è silenzio e ambiguità, lui proietta una narrazione interna basata sulla angoscia e gelosia – una caratteristica centrale della struttura soggettiva che organizza tutto il suo discorso.

            A differenza della memoria, che tende a riorganizzarsi per proteggere l’ego, l’immaginazione, come è possibile vedere nell’esempio di cui sopra, opera attraverso la fabulazione: riempie le lacune, costruisce spiegazioni e offre, anche se illusoriamente, un senso di coerenza e controllo. In Bentinho, questa immaginazione è ambigua – a volte timida, a volte audace – e segue una sua logica interna, guidata dal dolore della perdita e dalla necessità di elaborare una spiegazione per il suo dolore. Come confessa il narratore: “l’immaginazione è stata la compagna di tutta la mia esistenza: vivace, rapida, inquieta, a volte timida e recalcitrante, per lo più capace di divorare, correndo, un pascolo dopo l’altro” (Assis, 2014: 65).

            Questa elaborazione immaginativa, allo stesso tempo difensiva e creativa, riconfigura il passato ed i ricordi secondo gli affetti del narratore nonché struttura il suo tentativo di dare senso all’esperienza vissuta. L’immaginazione di Bentinho, quindi, va oltre un semplice supporto narrativo: essa crea un campo di ambiguità, proponendo al lettore il difficile compito di giudicare quello che è reale e quello che è prodotto dalla fantasia del narratore. Intrecciando questioni come desiderio e gelosia, l’immaginazione si rivela come uno spazio dinamico, in cui le ferite del soggetto non si cicatrizzano pienamente. Al contrario, restano vive, inquiete e in continuo movimento, sempre alla ricerca di un senso che, inevitabilmente, sfugge, senza mai stabilizzarsi.

Considerazioni finali — Nel riflesso obliquo dello sguardo

            Quello che rende Don Casmurro un’opera tanto inquietante quanto profondamente moderna è la permanenza del dubbio come elemento centrale della narrazione. Più che cercare una verità fattuale, Machado de Assis costruisce un’architettura finzionale in cui l’ambiguità non è soltanto inevitabile, ma essenziale. Il romanzo non si presenta come un enigma da risolvere, ma piuttosto come la descrizione di un soggetto davvero diviso, segnato da conflitti interiori che lui stesso non riesce a nominare. Bentinho non vuole soltanto raccontare la sua storia – ha bisogno di giustificarla, di sporgere una denuncia contro Capitu mentre si lamenta della propria condizione. E, in questo tentativo, si espone più di quanto immagina.

            Come in un processo analitico, quello che viene enunciato in superficie rivela, tra le righe, quello che si prova a nascondere. Il “Caso di Bento S.” – prendendo in prestito, come metafora, la struttura degli studi clinici freudiani – non tratta propriamente dell’adulterio, ma delle modalità con cui ci relazioniamo con l’altro, il desiderio, la colpa, la paura della perdita e l’angoscia di fronte all’ignoto. La sua narrazione, segnata da esitazioni, ripetizioni e silenzi assordanti, funziona come un meccanismo di difesa – uno sforzo per dare forma a quello che sfugge alla coscienza.

            E quello che sfugge è proprio Capitu – una figura che Bentinho non riesce né a comprendere né a controllare, e che per questo diventa tanto minacciosa quanto affascinante. Non la comprende non perché sia un enigma, ma perché Capitu incarna l’alterità radicale del femminile, che si rifiuta di essere controllata o ridotta alla sottomissione. Mentre Bentinho rappresenta il soggetto in crisi, Capitu, più che una donna nella sua vita, è il riflesso di tutto quello che Bentinho temeva: l’alterità del femminile.

            C’è chi ancora si chiede: Capitu l’ha tradito o no? Forse questa non è la domanda giusta – piuttosto, sottintende un equivoco. Non sarà, invece, il vero tradimento quello di Bentinho? Non contro Capitu, ma contro la realtà stessa? Non sarà lui che ha tradito l’amore, la fiducia, la possibilità di convivere con l’alterità? Non sarà lui che ha scelto la sicurezza confortevole della fantasia anziché la complessità della realtà? Quello che sappiamo è che Capitu, tra la realtà e la fantasia di una voce che la accusa senza concederle difesa, resiste come una figura letteraria potente: una donna incomprensa, ma non sottomessa; giudicata unilateralmente, ma non vinta. I suoi occhi non sono colpevoli – sono liberi. Ed è questa libertà che inquieta e sfida di più, che ancora resiste e turba!

            La domanda ripetitiva e quasi ossessiva di Bentinho, che risuona per oltre un secolo tra i lettori, rivela più sul narratore che su Capitu – e anche su di noi, che insistiamo nel decifrarla come se la verità fosse nascosta in qualche dettaglio ancora velato dalle parole. Tuttavia, Machado de Assis non ha mai avuto l’intenzione di fornire una risposta definitiva – anche perché, nelle sue opere, la verità quasi mai si trova dove la cerchiamo. Al contrario, ha costruito il romanzo affinché il dubbio fosse il suo vero motore: il più profondo e inquietante. In questo spirito, e con umiltà di fronte alla genialità machadiana, propongo un’altra domanda: quali sguardi, infine, sarebbero insabbiati dal riflesso obliquo della malizia che presuntamente si dissimulerebbe negli occhi di Capitu? Sarebbero davvero quelli di Capitu? Quelli di Bentinho, il narratore? O, forse, i miei? E, se posso ancora domandare, non sarebbero, per caso, i vostri? In fondo, quello che importa di più è che Capitu continua a guardarci con i suoi occhi: non per dissimulare la verità, ma per ricordarci che ogni sguardo è anche un riflesso di chi guarda.

BIBLIOGRAFIA

ALIGHIERI, Dante. (1989). La Divina Commedia: Inferno. Milano: Mondadori.

ASSIS, Machado de. Don Casmurro. (2014). Roma: Fazi Editore.Traduzione dal portoghese di Gianluca Manzi e Léa Nachbin. Titolo originale: Dom Casmurro.

HABERMAS, Jürgen. (1970). Conoscenza e Interesse. Bari: Editori Laterza (Opera originale pubblicata nel 1968)

RICOEUR, Paul. (2002). Della interpretazione. Saggio su Freud. Milano: Il Saggiatore. (Opera originale pubblicata nel 1965)

RICOEUR, Paul. (2000). La mémoire, l’histoire, l’oubli. Paris: Éditions du Seuil.


[1] Questa è la traduzione della frase in portoghese “olhos de cigana oblíqua e dissimulada”, realizzata da Gianluca Manzi (italiano) e Léa Nachbin (brasiliana), pubblicata nell’edizione del 2014 della Fazi Editore. Questa edizione sarà utilizzata per questa e per le altre traduzioni presenti nel saggio, poiché conserva l’ambiguità e la forza immaginifica dell’originale, elementi chiave per esprimere il carattere enigmatico e inquietante dello sguardo di Capitu.

[2] Nelle classi popolari brasiliane del XIX secolo, le donne spesso assumevano un ruolo attivo nella gestione familiare, mostrando una costante resistenza alle avversità e un’autonomia pratica distante dall’ideale borghese di passività. Machado de Assis, cresciuto nella periferia di Rio de Janeiro – nel Morro da Providência –, portò alla letteratura questa esperienza, dando voce e complessità alle soggettività marginalizzate. In Don Casmurro, Capitu incarna questa pluralità sociale: è un personaggio che transita tra codici e mondi diversi, sfidando le norme femminili del suo tempo. Così, Machado de Assis riafferma la sua strategia narrativa di valorizzare l’esperienza delle classi subalterne.